Il nostro codice penale è stato redatto negli anni Venti da una commissione parlamentare presieduta dall’onorevole Alfredo Rocco, ministro guardasigilli, a sua volta suddivisa in tre sottocommissioni. Hanno lavorato dal 4 dicembre 1925 al 19 ottobre 1930. Il reato sul quale abbiamo concentrato la nostra attenzione è quello di assassinio – che in Italia viene definito ‘omicidio’ – perché è necessariamente destinato a citare l’essere umano.
Dai documenti dei lavori conservati nella Biblioteca Parlamentare si può ricostruire la scelta della formulazione del reato di ‘omicidio’ così com’è ancora in vigore (il corsivo è citazione testuale). Inizialmente, nel 1927, viene proposta la medesima dicitura del codice allora vigente: «Chiunque, al fine di uccidere, cagiona la morte di alcuno, è punito con la reclusione non inferiore a 21 anni» (art. 364 codice Zanardelli). Successivamente viene modificato in: «Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno». Nella seduta del 18 dicembre 1929 la terza sottocommissione (presidenza Garofalo, componenti i senatori Diena e Pagliano, deputati Foschini e Madia; assiste il sostituto procuratore d’appello Manghini) «propone la sostituzione della parola ‘’persona’ alla parola ‘uomo’». Nella relazione finale, presentata il 19 ottobre 1930, il ministro Rocco scrive a pag. 133:
Bisognerebbe dire, in ogni modo: «persona fisica», ed allora tanto vale usare l’espressione, il cui significato è accessibile a tutti, di ‘uomo’». Una bella contraddizione, dal momento che il reato apre il titolo “Dei delitti contro la persona”.
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