Legislazione sulla lingua e il genere

Per questa sezione è stato utilissimo il saggio di Giuseppe Zarra
Quasi una rivoluzione pubblicato nel 2017 dall’Accademia della Crusca

ITALIANO

Contrariamente agli altri paesi occidentali, l’Italia è il più arretrato in fatto di interventi legislativi tesi a favorire un uso non discriminante della lingua. L’unica pubblicazione degna di nota è Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicate nel 1986 per la “Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra Uomo e Donna” istituita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e successivamente confluite nel volume “Il sessismo nella lingua italiana” di Franco Sabatini del 1987. Le Raccomandazioni furono ignorate sia dalle istituzioni che dalla stampa. E lo sono ancora a tal punto, che, fra le varie persone e personalità da me incontrate nel corso della elaborazione del progetto che trova qui forma, con le quali mi sono confrontata e lungamente, alcuna di esse ne ha mai fatto cenno. Ammetto la mia ignoranza, e l’ho dovuta ammettere all’Accademia della Crusca, alla quale mi sono rivolta sottoponendo al Consiglio Direttivo l’approvazione del progetto.

Non si perdonarono a Alma Sabatini – femminista e linguista – i rifiuti del suffisso –essa (come avvocatessa o studentessa), del determinatore ‘donna’ (per esempio ‘l’ingegnere donna’) e la proposta dell’accordo di aggettivi e verbi secondo il genere numericamente maggioritario (ossia “Maria, Tiziana, Caterina, Francesco e Ciccilla sono arrivate” invece di “sono arrivati”). Si parlò di un uso ‘agrammaticale’.

Vent’anni dopo c’è la Direttiva del 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche del Dipartimento della Pubblica Amministrazione e del Dipartimento Pari Opportunità. Nel 2012 il Comune di Firenze promuove le Linee guida per l’uso del «genere» nel linguaggio amministrativo a cura di Cecilia Robustelli.

Nel 2017 sono state compilate le “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur”. Basta andare sul sito del Ministero dell’Istruzione per rendersi conto che queste linee guida non sono state affatto tenute in considerazione: Ministro Maria Cristina Messa, professore, rettore… solo per citare l’esempio più palese. 

Nel nostro paese si declinano al femminile solo i termini impiegata, disoccupata, maestra.

 

LINGUE FRANCOFONE

Lo Stato più all’avanguardia è sicuramente il Quebéc, che già nel 1979 ha pubblicato sulla Gazzette officielle du Québec una prima raccomandazione contro il sessismo linguistico invitando a usare sempre sostantivi femminili, magari creandone nuovi. Le raccomandazioni del 1979 sono state riproposte nel 1981, nel 1982, nel 1984. Nel 1991 pubblica Au féminin e nel 1993 Classification e propone un uso logico della lingua, coerente con lessico e sintassi: per esempio, invece di dire “i cittadini”, è meglio dire “la cittadinanza”.

In Francia c’è stata la pubblicazione, nel 1999 di Femme, j’écris ton nom. Le Guide d’aide à la féminisation des noms de métiers, titres, grades et fonctions con prefazione dell’allora primo ministro Lionel Jospin. La Guide era stata preceduta da circolari, rapporti di commissioni, studi e dibattiti soprattutto dopo l’elezione di Edith Cresson prima, e finora unica, Prima Ministra di Francia dal 15 maggio 1992 al 2 aprile 1992.

In Belgio è stato sancito nel 1993 il ricorso alle denominazioni al femminile.

Nel cantone di Ginevra è stato adottato nel 1988 un regolamento e nel 2000 il governo federale ha promosso la Guide de formulation non sexiste.

Grazie a questi interventi istituzionali la féminisation è passata dal 62 al 92 per cento in Belgio e dal 74 all’85 per cento in Francia.

 

SPAGNOLO

Il governo spagnolo ha demandato ai ministeri e alle istituzioni locali gli atti normativi sul sessismo linguistico. Nel 1988 il Ministero de Educaciòn y Ciencia pubblica le Récomemdaciones, e nel 1995 lo stesso Ministero corregge una precedente legge che voleva solo la declinazione al maschile dei titoli accademici. Nel 1996 l’Instituto de la Mujer presso il Ministero de Trabajo y Asuntos Sociales ha pubblicato lo studio di Elulàlia Lledo Cunill Las profesiones de la A a la Z, aggiornato nel 2006. Tra il 2006 e il 2012 c’è un’ampissima produzione di opere sull’uso non sessista della lingua spagnola da parte di Università, Ministeri, dipartimenti, centri di ricerca, osservatori, sindacati. Nel 2012 la Real Academia Española esprime su questa produzione parere ufficiale redatto da Ignacio Bosque in Sexismo lingüistico y visibilidad de la mujer e mostra il suo carattere androcentrico: rifiuta l’uso logico della lingua espresso in tutti gli studi, nega visibilità al femminile adducendo come scusa l’impoverimento della lingua (che invece si arricchirebbe) arrivando persino a chiedere alle ‘parlanti’ di «rivendicare la libertà di esprimere una preferenza per la denominazione maschile».

Il parere di Bosque viene però contraddetto dall’uso corrente e dalle scelte della stampa; si preferiscono le denominazioni al femminile con un orientamento di parità linguistica che aspira a sistematicità.

Posso dire che Il Patrimonio Nacional de Madrid, al quale ho richiesto i diritti per lo sfruttamento dell’immagine del dipinto di Andrea Vaccaro Allegoria della Logica, quale sintesi potente e poetica della battaglia che portiamo avanti, non ha esitato a concederli, dicendosi ben felice di sostenere un progetto per l’evidenza femminile.

Anche in America Latina è maggioritaria la scelta di utilizzare declinazioni al femminile, testimoniando una evoluzione della lingua a favore della femminilizzazione, con chiari esempi in Cile e in Mexico che rinviano a studi eseguiti negli anni Cinquanta. La Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela  del 1999 ne è un esempio, con la meticolosa declinazione dei due generi.

 

TEDESCO

In Germania hanno cominciato a interrogarsi sull’uso non sessista della lingua sin dal 1976. Ufficialmente, le istituzioni hanno adottato le linee guida dell’Unesco del 1993, il documento del Ministerium für Justiz, Frauen, Jugend und Familie des Landes Schleswing-Holstein del 2000 e il BBB bulletin del 2002. Nel 2013, a titolo provocatorio, l’Università di Lipsia ha proposto di estendere il femminile delle professioni anche ai maschi, anche se il sito dell’ateneo continua a utilizzare la declinazione al femminile per le donne e il maschile per gli uomini. Il sito ufficiale della Cancelleria è al femminile, come pure quello del comune di Colonia amministrato, fino a ora, da Henriette Reker. I generi femminile e maschile sono sempre sdoppiati quando necessario e sicuramente ciò è stato reso possibile dalla spinta normativa per la visibilità linguistica delle donne. Non a caso la Germania ha la più alta occupazione femminile tra i paesi dell’Unione Europea. Ultimamente ha eliminato, dalla propria costituzione, il sostantivo ‘razza’ che così fortemente ha caratterizzato scelte scellerate nella prima metà del secolo scorso.

In Austria la promozione per un uso non sessista del tedesco si data 1986 a cura del Ministero degli Affari Sociali; successivamente i titoli femminili nei contesti d’uso ufficiale sono stati introdotti per legge.

In Svizzera l’elezione nel 1984 di Elisabeth Kopp a consigliera federale ha posto la questione all’interesse generale. Nel 1996 sono state emesse le linee guida, poi aggiornate nel 2009. In generale si può affermare che le indicazioni del tedesco hanno come obiettivo prioritario la visibilità linguistica delle donne.

 

INGLESE

L’inglese ha come caratteristica la ‘bassa marcatura di genere’, ma anch’esso ha i suoi problemi, tant’è che nel 1980 l’australiana Dale Spender ha pubblicato Man made language. «La riflessione teorica di stampo femminista sull’inglese ha presto prodotto linee guida atte a promuovere una riforma linguistica: Miller-Swift 1980, preceduto da Miller-Swift 1976; più tardi Frank-Treichler 1989 e in forma di dizionario Kramarae-Treichler 1985 e Doyle 1995» (G.Zarra, op. cit.). Il problema dell’inglese è più nel dettaglio e riguarda gli appellativi come Miss, Lady, Ms; e l’uso del pronome he  con valore inclusivo. Robetta a confronto dei problemi dell’italiano, che accetta senza battere ciglio una pubblicità che recita:“investiamo sulla tecnologia più evoluta che esista: l’uomo” e di fianco c’è il viso di una donna. Oltre le linee guida di cui sopra, c’è stata vasta produzione di opere contro il sessismo linguistico sia da parte delle istituzioni che dell’editoria (Mc Graw- hill, 1972, National Council of Teachers of English, 1975, American Psychological Association, 1978 e 1994). Linea fondamentale di tutte le opere è il rifiuto di man inteso come ‘finto generico’.

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